Mose Water Architecture in Malamocco

Inserimento paesaggistico delle opere e delle infrastrutture alla bocca di porto

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Venezia è città d’acqua. Dall’acqua della laguna è nata e dal suo instabile equilibrio dipende.

Un tempo il pericolo veniva dai fiumi che, con i loro sedimenti, causavano il suo progressivo interramento. La Repubblica marinara decise perciò di deviarli, facendoli sfociare direttamente in mare. Un’opera ciclopica.

Oggi Venezia deve invece difendersi dal mare, dal suo progressivo innalzamento, che si è manifestato con l’alluvione del 1966, “l’acqua grande” che ha sommerso tutta la città. Che fare allora?

Operare alle tre bocche di porto, ai tre varchi che mettono in comunicazione la laguna con il mare, sembra ai più la soluzione migliore. Nel 1981 iniziano così riflessioni e studi e nel 1994, il Ministero dei lavori pubblici dà il via libera alla progettazione del MOSE (Modulo Sperimentale Elettromeccanico), un sistema di 78 paratie mobili, incastrate nel fondale delle tre bocche in blocchi di cemento. Enormi paratie scatolari in acciaio, con larghezza compresa tra i 18 e i 29 metri, che al sopraggiungere della marea eccezionale, si riempiono d’aria e si sollevano, creando così tre barriere, che non permettono al mare di entrare, difendendo la laguna della acque alte.

Nel 2001 lo stesso Ministero dà inizio ai lavori, ipotizzando una loro fine nel 2001, scadenza che viene progressivamente posticipata, fino alla data del 2025.

Le opere subacquee di ingegneria, enormi e ciclopiche, producono inevitabilmente effetti anche all’esterno, modificando la linea d’acqua della bocca di porto e facendo apparire una sequenza infinita di piccoli edifici, macchinari, lucernari e bocche di areazione, oltre ovviamente agli indispensabili edifici per il controllo delle paratie.

Un impatto inevitabile sul paesaggio delle bocche.

L’Università IUAV di Venezia, viene incaricata di redigere i progetti delle opere necessarie per l’inserimento nel paesaggio delle bocche e delle architetture. A noi viene affidata la bocca di porto di Malamocco, quella centrale, tra i lidi di Pellestrina e di Venezia, che è la principale via di accesso delle grandi navi alla laguna e al porto industriale e commerciale di Marghera.

Partiamo perciò dal paesaggio, dai suoi caratteri, che nelle bocche di porto sono complessi e particolari, essendo il punto di incontro tra il paesaggio marino, costiero e quello interno lagunare e antropizzato.

In entrambi i casi è un ambiente dinamico e instabile, dove le forme sono generate dal movimento. Dove i flussi ritmici delle correnti modellano in continuazione le sponde sabbiose e le isobare dei fondali. Anche la vegetazione muta in poche decine di metri, a seconda della forza del vento dominante e dell’orientamento al sole.

La sua mutevolezza è comprensibile, logica. E’ infatti per sua natura un luogo di passaggio e di transito. Dove entrano ed escono, ogni sei ore, le correnti marine, ma anche natanti e navi di grandi dimensioni, che smuovono le acque e i fondali. Ma è anche un luogo dove convivono e si incontrano la piccola e la grande scala. La dimensione infinita dell’orizzonte e quella finita e misurabile della laguna. E’ un luogo dove dominano le linee orizzontali, che dilatano le forme e fanno apparire ogni manufatto “piccolo” e di fatto accessorio. E’ un luogo dove il paesaggio prevale sull’architettura. E’ soprattutto un luogo dove prevale la luce, che il riflesso dell’acqua duplica all’infinito, modificando le superfici a seconda dell’inclinazione dei raggi, dell’angolo di rifrazione sull’acqua.

Un paesaggio “virtuale”, che ci costringe ad affrontare il lato “immateriale” dell’architettura, valutando le superfici e i materiali di rivestimento, in ragione della loro capacità di assorbire o rifrangere la luce, mostrando il volto “duale” dell’architettura. A cui siamo poco abituati.

La bocca di Malamocco, l’unica con una conca che consente il passaggio alle navi anche con le paratie mobili alzate, è infine la rappresentazione più fedele della sua funzione: luogo intermedio e porta di accesso dal mare, che deve essere sempre visibile 24 ore su 24. Soprattutto di notte quando i riflessi dell’acqua e i fondali scuri della vegetazione spariscono nel buio.

Gli edifici, le architetture emergenti quindi, della spalla sud e spalla nord, diventano dei fondamentali segnali luminosi, delle “lampade” che assumono i colori, il linguaggio e le regole universali della nautica: rosso a sinistra e verde a destra.

L’edificio di controllo e quello di ventilazione assumono perciò questa responsabilità nel paesaggio: identificare, da chi arriva dal mare, la dimensione e l’orientamento della bocca di porto di Malamocco, di giorno e di notte.

Entrambi gli edifici, hanno un basamento in cemento a vista, che sorregge una struttura in acciaio e vetro colorato, stretta e lunga più di 50 metri e disposta su due livelli, che ospita percorsi pensili per l’ispezione degli impianti di ventilazione, e passerelle in quota necessarie per raggiungere le scale di controllo poste ai livelli superiori, dove gli addetti possono osservare e tenere sotto controllo le operazioni di sollevamento e movimentazione delle paratie.

Le “lampade” vetrate colorate, rosse e verdi, si illuminano di notte mediante strisce a led applicate alla struttura in acciaio.

Tutte le infrastrutture tecnologiche, poste sul retro e che fuoriescono dal terreno, sono invece schermate da una pelle in alluminio, in lamiera stirata, con maglie assai larghe, che sorregge rampicanti e arbusti che riprendono i temi e i colori della retrostante macchia mediterranea.

Drawings

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